La retorica cooperativa produce danni

Da tempo evito più che posso convegni, seminari, conferenze, tavole rotonde, workshop dove il modello cooperativo viene esaltato dai relatori di turno con slogan generici e ampollosi. Tali occasioni si sono recentemente moltiplicate, anche per far fronte ai sempre più numerosi attacchi contro la cooperazione.

L’impressione che ne ho – sicuramente sbagliando – è che siano occasioni perdute, e potenzialmente dannose. Se il messaggio non è accompagnato da un’elaborazione operativa, allora rimane esercizio fine a se stesso, se non addirittura controproducente, in quanto vuota retorica che allontana invece che attrarre i destinatari del messaggio stesso.

Troppo spesso il richiamo ai grandi valori cooperativi è presentato come se fosse di per sé la soluzione di ogni problema. Questa convinzione pare essere diffusa soprattutto fra quei dirigenti che credono che basti la carica occupata per conferire autorevolezza a qualsiasi cosa dicano.

Ma non dimentichiamo quei studiosi ed esperti che ricorrono ad un repertorio di luoghi comuni che non richiedono alcun sforzo di elaborazione. Con dialettica persuasiva sciorinano una dietro l’altra frasi zeppe di termini magici: “sociale”, “coesione”,“solidale”, “comunitario”, possibilmente in inglese. Sembrano convinti che basti essere cooperative per essere “impresa sociale”, per creare “valore solidale”, per essere “comunità”.

Questo perché non sanno cosa significa gestire concretamente la governance, la strategia, l’organizzazione di una cooperativa. Sono sedicenti esperti che non hanno idea di cosa significhi la realtà quotidiana di un’impresa cooperativa, perché il loro approccio è superficiale, di chi osserva da fuori.

Ciò che serve invece è dar voce a chi cerca di cambiare e migliorare le cose dall’interno delle cooperative. Perché solo questo è l’approccio che consente di andare oltre gli slogan generici e di indicare strade concrete di azione. È la lezione di Kurt Lewin, che affermava che Non si può comprendere un’organizzazione fino a quando non si prova a cambiarla”.


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