La rivoluzione organizzativa

Quando si parla di rivoluzione, spesso si citano le parole di Mao Tse Tung:” “La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un’altra” (da Citazioni dalle opere del Presidente Mao-Tse-Tung – meglio noto come Libretto rosso, pp. 12-13). Questa definizione appare piuttosto brutale, non adatta alle nostre delicate sensibilità. Tuttavia, quando i più autorevoli esperti di strategia aziendale (i c.d. “guru del management”) parlano di innovazione – e sottolineano che una strategia veramente innovativa deve avere contorni forti e rappresentare una rottura netta col passato – di fatto stanno parlando di rivoluzione. Gary Hamel ad esempio è un rivoluzionario quando dice che “La strategia inizia sempre con un atto di contestazione: occorre andare contro l’opinione comune”. Anche Rowan Gibson è un rivoluzionario: “Tempi nuovi richiedono organizzazioni nuove. Occorre ripensare i principi, la concorrenza, il controllo, la leadership, i mercati. Occorre ripensare il mondo”. Poi c’è Charles Handy, un altro rivoluzionario del management: “Non si può camminare verso il futuro guardando indietro. Non si entra nel futuro a marcia indietro”. E così via. Quando si parla di trasformare un’organizzazione burocratica in un’organizzazione innovativa, deve essere chiaro che questo comporta una rivoluzione negli assetti di potere. Chi oggi in azienda parla di nuove strategie e nuovi assetti organizzativi deve sapere che non si sta preparando per un “pranzo di gala”.


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