Il segreto delle PMI che innovano: il caso della meccatronica

“L’Italia esporta valore meccanico verso Occidente, ma importa il cuore elettronico dai paesi asiatici. Si pone quindi un tema di sovranità tecnologica: «Le nostre imprese assemblano valore sofisticato, ma restano dipendenti da input esterni critici – osserva Ciapetti – Serve una riflessione su come attuare un reshoring selettivo, diversificare i fornitori, investire a livello nazionale nei settori digitali. E, soprattutto, su come accelerare l’innovazione».

Intendiamoci: la meccatronica italiana è solida e articolata e non abdica al suo ruolo trainante per l’industria italiana. Rispetto alle innumerevoli tipologie di oggetti e sistemi prodotti, il rapporto Antares ha individuato 18 “piattaforme-prodotto”, classificate per affinità tecnologica e funzionale, e afferenti a tre domini principali: i veicoli terrestri e la mobilità (che da soli rappresentano il 39% del valore prodotto), le piattaforme industriali ad alta complessità, come aerospace, fluidodinamica, sistemi embedded, biomedicale, e la meccanica strumentale tradizionale, che riguarda cioè la produzione di macchine utensili e di automazione industriale. In questi ambiti, la produttività media annua per addetto può variare sensibilmente, dai 102mila euro dell’aerospace ai circa 70mila euro di piattaforme mature come elettrodomestici e agrimeccanica. «Una polarizzazione che evidenzia – nota Ciapetti – come le imprese a più alta intensità tecnologica siano anche quelle meglio posizionate per affrontare le transizioni in corso, dal digitale alla sostenibilità».

Insomma, molte aziende della meccatronica conservano una spiccata propensione all’innovazione. Ma il quesito, di fronte a una situazione globale mutevole, è se questa capacità è sufficiente. La dimensione delle aziende italiane del settore potrebbe costituire un limite. «È diffusa l’idea – dice Ciapetti, – che le Pmi non siano più in grado di tenere il passo da sole e abbiano bisogno di aiuti esterni. Con l’indagine di quest’anno abbiamo voluto verificare la situazione». Il primo passo è stato verificare la capacità innovativa delle nostre imprese, entrando proprio al loro interno per studiarne le dinamiche. «Lo abbiamo fatto con quattro aziende reggiane, non grandi, ma con bilanci solidi, e abbiamo potuto riscontrare il loro dinamismo, che non si basa più, come un tempo, soltanto sul prodotto, ma anche su una cultura organizzativa più aperta. Le pmi meccatroniche moderne dialogano con le altre aziende del settore, collaborano con l’università, sono aperte al cambiamento.

Questi sono i fattori che consentono loro di restare competitive». Dall’esperienza, oltre alle valutazioni per il rapporto, è scaturito anche un libro, “Il posto dell’innovazione” (Edizioni Lavoro), scritto a quattro mani da Ciapetti con Giuliano Nicolini, esperto in organizzazione e strategie del cambiamento.

Ma questa energia “endogena” alle aziende meccatroniche non basta. Serve anche una spinta esterna che può arrivare da start up “plug-in”, come vengono definite nel rapporto, cioè in grado di innestarsi nei prodotti già di successo delle nostre industrie con innovazioni di pronto utilizzo: sensori IIoT, agenti di intelligenza artificiale per la manutenzione predittiva o l’assistenza, digital twin, piattaforme

Mes/Erp interoperabili. «Abbiamo identificato, attraverso un lavoro pilota di web- scraping sull’universo delle start up italiane – spiega Ciapetti – 1.175 aziende di questo tipo in Italia, di cui solo per il 27% è possibile stabilire un qualche tipo di partnership operativa con imprese manifatturiere. Costituiscono un ecosistema interessante, ma ancora fragile. L’87% di queste aziende ha meno di cinque addetti e fattura meno di 500mila euro». Un mondo pieno di idee, magari nate nei laboratori universitari e poi rivelatesi pronte per i processi industriali. Ma che ha bisogno di un ecosistema per crescere, trovare finanziamenti, integrarsi sempre di più con l’industria. Anche su questo dovremo lavorare per dare un futuro alla nostra meccatronica”.

(Pagina a cura di Riccardo Oldani – Il Sole 24 Ore – 19 giugno 2025)


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