Quando il lavoratore è anche socio: un modello che rinnova la cooperazione di consumo

C’è una cooperativa di consumo in Romagna che associa non solo oltre quarantamila soci-consumatori, ma anche 280 lavoratori della cooperativa stessa (su un totale di oltre 500 dipendenti). Si tratta di un raro caso di cooperativa di consumo di medie dimensioni che mette assieme due figure di socio normalmente ben distinte: gli utenti e i lavoratori. Per quale ragione si è deciso di aggregare soggetti che esprimono ragioni di scambio mutualistico molto differenti fra loro? Ma procediamo con ordine.

Si stima che in Italia vi siano più di 1.100 cooperative di consumo, che associano oltre 8,5 milioni di persone. Le cooperative più importanti sono molto, molto grandi: Coop Alleanza 3.0 conta su quasi 2,8 milioni di soci, quelli di Unicoop Firenze superano di poco il milione. Tantissime altre cooperative annoverano centinaia o decine di migliaia di soci. Queste dimensioni testimoniano il successo della formula cooperativa, ma fanno anche sorgere una domanda: quanto conta il socio all’interno di cooperative così grandi?

La partecipazione del socio rappresenta uno dei valori fondanti dell’impresa cooperativa. Di fronte a questi numeri è chiaro che la partecipazione nelle cooperative di consumo diventa un problema estremamente difficile da affrontare. Ma non è solo una questione di numeri. Il rapporto fra socio consumatore e la propria cooperativa è un rapporto strutturalmente esile.

È noto che solo una limitata percentuale di soci sceglie di fare la spesa esclusivamente presso la propria cooperativa, vista la presenza di numerose offerte alternative sul mercato. E proprio per “conquistare” il proprio socio le cooperative di consumo operano sul mercato con modalità spesso del tutto assimilabili a quelle delle imprese non cooperative.

Estremamente limitata è poi la percentuale di coloro che partecipano regolarmente ad assemblee e momenti decisionali di comitati locali o sezioni soci. Tale fenomeno è senza dubbio legato anche alla crescente disaffezione alla partecipazione politica e sociale che caratterizza i nostri tempi. Questo naturalmente non impedisce alla cooperativa di svolgere la propria attività ugualmente anche con basse percentuali di partecipazione attiva ai momenti istituzionali.

Possiamo quindi parlare di un legame socio-cooperativa strutturalmente debole e sporadico, in cui la scelta partecipativa per gran parte dei soci si esprime sostanzialmente nella scelta di fare la spesa o meno nel punto vendita della cooperativa. Tale situazione è radicata ormai da anni ed ha portato, inevitabilmente, ad un progressivo allontanamento fra la base sociale – numerosa e distaccata – ed il management professionale stabile, dedito alla gestione della rete di vendita.

Ricapitolando, le grandi e medie cooperative di consumo oggi si caratterizzano per una limitata partecipazione dei soci, una loro difficile fidelizzazione, una governance che vede il peso predominante di un management professionalizzato. Quest’ultimo elemento porta con sé il rischio che il gruppo dirigente delle cooperative renda conto principalmente a se stesso e ad alcune organizzazioni esterne collegate: associazioni di rappresentanza, istituzioni, grandi finanziatori, referenti politici. Il rischio paventato da più parti è la creazione di aziende “senza padrone”, una sorta di “public company”, ma senza controllo pubblico.

Queste considerazioni hanno spinto Cofra, cooperativa di consumo nata a Faenza nel 1973 e oggi presente in Romagna con 15 punti vendita (12 supermercati, 2 negozi di bricolage e 1 dedicato agli animali), a offrire anche ai propri dipendenti la possibilità di diventare soci in qualità di lavoratori.

Oggi Cofra è una cooperativa estremamente originale, con una base sociale mista, portatrice di due logiche mutualistiche diverse e – potenzialmente – con obiettivi non coincidenti: l’utilità dell’azione di acquisto per i consumatori, la difesa degli interessi dei lavoratori per i dipendenti.

A quali esigenze Cofra cerca di rispondere con questa scelta? Sono fondamentalmente due: rafforzare la governance aziendale, e valorizzare il contributo del personale.

Aprire all’adesione dei dipendenti consente di valorizzare il loro contributo attraverso la figura del lavoratore socio. Questo significa avere la possibilità di considerare i dipendenti non solo risorse da gestire con i tradizionali strumenti di relazioni industriali, ma avere persone attive in grado di dare ogni giorno un valore aggiunto strutturato e stabile.  I benefici attesi su questo versante spaziano su molteplici fronti. Da un lavoratore socio ci si aspetta un maggior senso di appartenenza, una maggior fidelizzazione e continuità di impiego, una superiore attenzione al miglioramento continuo, all’efficienza ed alla qualità del servizio e del lavoro.

Il vantaggio per i soci consumatori e per la cooperativa va visto in ottica di governance. Come detto sopra, il progressivo distacco della base sociale dalla partecipazione al governo della cooperativa porta con sé il rischio di creare aziende i cui dirigenti e manager rispondono essenzialmente a se stessi o a soggetti esterni vicini per ragioni politiche, istituzionali o finanziarie. Il rischio è uno spostamento progressivo verso una gestione slegata dalla mission originaria, attenta alla conservazione degli equilibri interni e conservatrice in termini di ruoli di potere.

Aprire le porte della cooperativa all’adesione dei dipendenti in quanto lavoratori soci ha per obiettivo di far condividere in tempi rapidi il potere decisionale dei soci consumatori con chi – come i lavoratori – ha un approccio diverso allo scambio mutualistico, è portatore di competenze gestionali, è fortemente interessato al buon andamento aziendale. L’aspettativa è che cadano le asimmetrie informative fra base sociale e top manager, o che, al contrario, non si verifichino situazioni di “dilettanti allo sbaraglio”.

La scelta di una forma mista di governance della cooperativa porta ad assetti estremamente diversi rispetto al passato, più ricchi e più complessi, ma anche potenzialmente più solidi, e con un processo decisionale più aperto a tutti i livelli del personale dipendente, e non solo al top management.

Questo percorso ha reso necessario adattare statuti e regolamenti di Cofra alla nuova situazione, che deve prevedere un equilibrio dei poteri fra le due figure di socio al fine di impedire che le differenze portino a conflitti o blocchi decisionali. In particolare, si definisce una rappresentanza che non è basata sui soli numeri, dato l’evidente squilibrio fra il numero dei soci consumatori e quello dei lavoratori soci (42.000 contro 280). I meccanismi sono essenzialmente legati alla creazione di organi di governo che prevedano un peso paritario fra le due componenti ed a sistemi di ponderazione dei voti in assemblea.


Condividi questo post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.