La trappola della reputazione: ecco perché le aziende di successo hanno smesso di migliorare i prodotti

Quali sono le capacità strategiche dell’azienda? Normalmente i piani di sviluppo poggiano su fattori quali l’innovazione tecnologica, la personalizzazione dei servizi, la differenziazione dei prodotti, l’efficienza e la flessibilità delle operations. La realtà è un po’ diversa: senza capacità di cogliere i segnali sociali e i cambiamenti valoriali e culturali, ogni piano è destinato al fallimento.

C’è ancora chi si illude che la competitività si basi sul miglioramento della qualità dei prodotti e servizi, o sul contenimento dei costi. O che il successo si misuri dal fatturato, dai margini, dal patrimonio, dalle quote di mercato.

Oggi il successo o il fallimento di un’azienda sono determinati da consenso sociale e immagine pubblica. Non basta fare buoni prodotti e servizi. Un marchio rappresenta un insieme di valori e di visioni del mondo: occorre dimostrare di essere “dalla parte giusta”, quella dell’ambiente, dei diritti civili, della giustizia sociale.

Oggi le aziende – specie quelle che si rivolgono direttamente ai consumatori -vivono in uno stato di tensione continua: ogni messaggio sui social, ogni dichiarazione pubblica, ogni immagine sulle confezioni, ogni pubblicità, ogni evento, ha sempre un impatto reputazionale. Linguaggio e immagini devono passare al vaglio dell’inclusività e della neutralità. Tutto va verificato, tutto parla. Fondamentale diviene monitorare social e piattaforme digitali per capire quali sono le tendenze delle minoranze pubbliche le cui sensibilità fanno opinione.

In azienda si creano così nuove funzioni e nuovi ruoli, dedicati alla costruzione e difesa del capitale reputazionale. È un percorso lungo e costoso, che si appoggia su basi fragilissime. Basta niente per far crollare tutto: una pubblicità ambigua, un commento infelice del Presidente o di un dirigente, una controversia con una associazione ambientalista, una sanzione per una violazione amministrativa.

Tutto questo costa, ma porta anche ad evidenti benefici. Se la reputazione aziendale migliora grazie ad una buona campagna di immagine, perché investire in costosi e lunghi progetti di ricerca e sviluppo, nel miglioramento dei prodotti e dei servizi, nella logistica o nel welfare aziendale?

Risulta molto più conveniente assecondare le tendenze dell’opinione pubblica, specie quella più attenta alle questioni sociali e ambientali, che spesso coincide con quella con maggiore disponibilità economica.

Una buona reputazione attrae non solo consumatori con buona capacità di spesa, ma anche personale più qualificato, opinion leader ed influencer alla ricerca di visibilità e ingaggi. Detta altrimenti: non sono tanto i prodotti scadenti, quanto una reputazione scialba o addirittura negativa che fa perdere clienti, dipendenti, fatturato, margini.

Sono ancora troppe le aziende che non hanno capito fino in fondo questa riconfigurazione delle logiche di business. Sono le aziende i cui vertici pensano alle strategie secondo parametri fondamentali quali finanza, tecnologia, mercati, personale, ma tralasciano le dimensioni altrettanto importanti della politica, della cultura, della società.

Ragionare in termini di fatturato e profitto non basta. I piani di sviluppo delle aziende devono puntare alla massimizzazione del consenso sociale. Da lì passa il successo imprenditoriale.


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