Comunità e conversazione in associazione

Le associazioni di imprenditori sono luoghi in cui gli associati, allacciando rapporti diretti e personali, usano l’associazione sia per fare affari e stringere alleanze, che per agire come lobby nei confronti di istituzioni e controparti.

Mentre le regole scritte dell’associazione attengono alla formazione di Consigli, Giunte e Presidenze, quelle non scritte prevedono una serie di luoghi e rituali tali da creare nuclei di imprenditori che determinano i destini dell’associazione.  Una volta si parlava di “salotti buoni” per indicare alcuni gruppi ristretti di associati che, in virtù della loro rappresentatività, potevano condizionare non solo la vita dell’associazione ma anche dell’ecosistema locale. Tale situazione è oggi sempre meno diffusa, sia perché la globalizzazione dell’economia ha moltiplicato il numero dei “salotti” reali e virtuali, sia perché alle associazioni aderiscono soprattutto PMI e microimprese, le cui caratteristiche e numerosità mal si conciliano con la visione elitaria dell’associazione come luogo chiuso ed esclusivo.

Questo non significa che sia venuta meno l’esigenza dell’aggregazione: molti imprenditori hanno spesso la sensazione di essere soli, anche quando possono contare su soci e collaboratori diretti. Tale sensazione nasce dalla consapevolezza che in ultima analisi solo a loro spettano le decisioni finali, e che troppo spesso le loro idee non vengono accettate né tantomeno capite dagli stessi familiari e collaboratori.

Diventa quindi fondamentale poter contare su un luogo in cui potersi confrontare liberamente con persone con cui si condividono interessi e, soprattutto, stili e condizioni di vita.

L’associazione come conversazione

L’imprenditore che partecipa attivamente alla vita associativa mette normalmente l’accento su tre aspetti:

  1. il bisogno di condividere esperienze e problemi;
  2. il piacere di confrontarsi con altri imprenditori;
  3. l’opportunità di crescere e imparare cose nuove.

Parafrasando una celebre tesi del Cluetrain Manifesto, potremmo parlare di “associazioni come conversazioni”, ovvero come luoghi in cui gli imprenditori dialogano con persone simili a loro per condizione sociale e di vita: non cercano quindi necessariamente relazioni con possibili clienti, fornitori o concorrenti, e non vogliono parlare solo di temi legati al lavoro ed al business.

Le regole della «buona conversazione» sono queste:

  1. tutti percepiscono chiaramente che dalla conversazione si può sempre imparare qualcosa;
  2. nessuno pontifica, nessuno promoziona le proprie opinioni ed esperienze o – peggio ancora – i propri prodotti o servizi;
  3. si segue il flusso: ogni tema si porta dietro altre domande;
  4. non si fa a gara contrapponendo le proprie esperienze (anche negative) a quelle degli altri;
  5. il linguaggio utilizzato è semplice e colloquiale;
  6. si lasciano da parte i dettagli irrilevanti, rinviandoli a momenti successivi extra- riunione;
  7. si è normalmente molto brevi negli interventi.

Come è possibile che esperienze di “conversazione attiva” rafforzino il legame fra le imprese associate?

È importante che la conversazione avvenga fra imprenditori con caratteristiche strutturali simili in termini dimensionali e di complessità, indipendentemente dal settore di appartenenza.

Le modalità di lavoro devono essere improntate a: assenza di formalità, parità di status e ruolo fra i partecipanti, numero contenuto e stabile, modalità sia in presenza che on line, stretta attinenza a temi di attualità, grande libertà di espressione e di proposta dei temi da discutere.

Quest’ultimo punto costituisce a nostro avviso un elemento essenziale: la conversazione deve avere sempre stretta attinenza alla realtà, alla contingenza che l’imprenditore si trova ad affrontare, e non è strettamente necessaria la presenza di un esperto che faccia da relatore. Spesso sono gli imprenditori stessi che meglio di chiunque altro possono conoscere i problemi e proporre soluzioni.

La conversazione come atto di creazione identitaria attiva

L’associazione deve riuscire a dare voce agli imprenditori in quanto persone, e non solo come rappresentanti di imprese.

Deve gestire incontri in cui ognuno capisce che deve ascoltare più che parlare, e percepisce chiaramente che si tratta di una conversazione in cui ognuno è attivamente coinvolto, e che dall’ascolto attivo possono arrivare benefici tangibili.

Potremmo dire che deve crearsi una situazione «mutualistica», di «sostegno reciproco» non tanto (o solo) sul piano materiale, quanto sul piano umano. La conversazione attiva costituisce un’attività non solo emotivamente appagante, ma sostanzialmente creativa. Tutti cooperano alla formazione di un nuovo senso condiviso, tale da arricchire tutti coloro che vi partecipano.

In altri termini, la conversazione fra imprenditori costituisce la base per la creazione di una identità collettiva attiva.

Occorre riprendere consapevolezza che le associazioni sono fatte di persone, prima che di imprese. Nelle associazioni di imprenditori le conversazioni devono svolgersi faccia a faccia, in maniera aperta, naturale, non artificiosa. Gli imprenditori si riconosceranno l’un l’altro dal tenore di queste conversazioni. L’associazione deve soddisfare l’esigenza di dare voce in modo adeguato ai propri associati, o rischia di far perdere significato alla scelta associativa.

Implicazioni per le associazioni degli imprenditori

Cosa deve fare un’associazione per sviluppare azioni attive di creazione di identità collettiva?

Il primo problema da affrontare è quello di riuscire a convincere gli imprenditori a partecipare a incontri di un gruppo tendenzialmente stabile nel tempo. Fondamentale è la loro percezione di fiducia nel gruppo, fiducia nel fatto che la loro disponibilità e apertura non venga tradita dagli altri. In tal senso appaiono determinanti quattro fattori: a) il gruppo è costituito e gestito da imprenditori; b) tutti i partecipanti sono alla pari; c) il gruppo è coordinato da un imprenditore che svolge un ruolo di facilitazione e integrazione; d) l’associazione fornisce supporto logistico ed organizzativo (locali, tecnologie di connessione, funzionari a supporto).

Una volta costituito il gruppo, il problema diventa quello di come riuscire a tenere alta nel tempo la tensione alla partecipazione. Essere agganciati alla contingenza emotiva ed imprenditoriale costituisce un fattore di successo. Ma altrettanto importante è chi partecipa trovi un luogo in cui si esca dal contesto isterico e superficiale della comunicazione mediatica, per tuffarsi nel contesto reale in cui dati e fatti acquistano un significato utile per la sua attività. E in cui emozioni, comportamenti e linguaggi negativi cedano il passo a emozioni, comportamenti e linguaggi positivi e costruttivi.

In termini di modalità gestionali questo significa che: 

  1. gli incontri vedono un numero di partecipanti non troppo piccolo né troppo grande: l’ideale è attestarsi attorno alla ventina di persone;
  2. gli imprenditori si ritrovano con colleghi che percepiscono come simili a loro per situazione imprenditoriale – ad esempio titolari di imprese non troppo piccole (sotto i 20 dipendenti) né troppo grandi (sopra i 100) – quindi persone «analoghe» per condizione di vita;
  3. le persone partecipano a incontri sono normalmente le stesse, e finiscono quindi per conoscersi bene;
  4. gli incontri si tengono preferibilmente in presenza;
  5. lo stile di gestione degli incontri è estremamente amichevole, senza gerarchie formali o di status, volto a garantire una situazione di parità fra i partecipanti;
  6. ogni partecipante è sempre chiamato ad intervenire ed ha sempre la possibilità di proporre temi di discussione;
  7. i temi affrontati durante gli incontri devono essere sempre legati alla stretta attualità.  

Creare la Comunità associativa

La relazione con gli altri mette in grado l’imprenditore di soddisfare bisogni profondi di identità, di appartenenza, di riconoscimento, di gratificazione.

L’associazione, favorendo la creazione delle relazioni, riesce a definire non soltanto il suo ruolo nella società, ma anche a creare la soddisfazione fra gli associati, non legata esclusivamente a fattori contingenti quali i servizi ricevuti, ma all’appartenenza ad una comunità vera.

L’obiettivo dell’associazione deve essere quello di costruire comunità in cui si percepiscano chiaramente il calore delle relazioni e la condivisione mutualistica delle proprie esperienze.

Possiamo parlare in tal senso di “Comunità associativa”, come di una funzione volta a creare luoghi ed occasioni di confronto ed identificazione basati su valori profondamente civili quali la moderazione ed il rispetto nel confronto reciproco, la razionalità, l’analisi, la condivisione generosa delle proprie esperienze e conoscenze.

L’obiettivo è creare comunità in cui i partecipanti:

  • aiutano ad acquisire nuovi membri, con conseguente riduzione dei costi di acquisizione degli associati;
  • sono restii ad abbandonare l’associazione, con conseguente aumento della fidelizzazione;
  • si sostengono a vicenda, con conseguente percezione del valore aggiunto associativo. 

Man mano che il coinvolgimento cresce, la comunità diventa più intelligente, più rapida a rispondere, più disponibile, e genera più valore per le imprese e per l’associazione.


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