Un dirigente e l’associazione in stallo

Erminio (nome di fantasia) è stato per molti anni dirigente di una importante associazione di imprese. La nostra chiacchierata inizia con Erminio che fa l’elenco dei punti di forza e di debolezza della sua associazione.

“Siamo in una situazione di stallo, da anni. Abbiamo valori forti, e un glorioso passato basato su una identità storica. Ma i valori fondanti, il senso di appartenenza ad un sistema, l’immagine esterna e la forza del gruppo sono elementi di forza più potenziali che reali, più legati al passato che al presente, più obiettivi da raggiungere che elementi su cui basare una forza attuale”.

Gli faccio notare che sono quasi del tutto assenti – fra i punti di forza da lui citati – i riferimenti alla capacità di influenza sul sistema economico e sociale (lobbying). E nemmeno mi ha parlato di qualità dei servizi, o di motivazione e impegno dei gruppi dirigenti.

“Non li ho citati perché sono l’effetto, non la causa, dei nostri problemi. Alla base di tutto c’è una grave mancanza di visione e un conseguente ritardo strategico. A tutto questo aggiungiamo la cronica difficoltà decisionale, data dall’assenza di centri regolatori, dalla delegittimazione degli organi e dal mancato ricambio dei gruppi dirigenti.

Ipotizzo che punti di forza e punti di debolezza siano le due facce di una stessa medaglia.

“Se è così vuol dire che la percezione di specularità fra punti di forza e punti di debolezza crea un meccanismo tale per cui il punto di forza appare come una aspirazione ideale che, in quanto non raggiunta, determina una valutazione negativa della situazione attuale”.

La nostra chiacchierata si conclude con poche, e limitate, considerazioni:

  1. la carenza di legittimità, leadership, mission condivisa, è il riflesso e non la causa della crisi dell’associazione;
  2. la situazione di crisi e di disagio attuale è l’espressione di una crisi strutturale, di trasformazione dell’ambiente esterno che poco ha a che fare con l’operato dei gruppi direttivi dell’associazione;
  3. la natura strutturale della crisi porta inevitabilmente ad ambiguità, confusione e incoerenza di posizioni all’interno dei gruppi dirigenti;
  4. le grandi contraddizioni storiche sulla membership (i tradizionali frazionamenti fra i settori/categorie e fra i territori) accentuano le incoerenze e rendono difficile trovare la soluzione ottimale con un nuovo modello organizzativo.

In questo quadro qualsiasi intervento di ingegneria organizzativa rischia di avere il respiro corto, perché il problema principale non è quello della maggiore efficienza di singoli assetti organizzativi, ma è piuttosto quello del patto fondativo e identitario sul quale si basa l’associazione, e a partire dal quale dovranno discendere le configurazioni organizzative più coerenti.


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