Alcuni mesi fa parlavo con Gianni di un progetto di cambiamento che riguardava la sua azienda. Entrambi eravamo d’accordo sull’importanza che tutti i suoi collaboratori vedessero l’urgenza del problema allo stesso modo in cui lo vedeva lui. A tal fine Gianni passava molto tempo a parlare con le persone, ma aveva l’impressione che il percorso fosse troppo lento. Provammo quindi a cambiare l’approccio, e decidemmo di seguire una strada diversa, che partisse da questa domanda: come fare perchè le persone incominciassero ad essere insoddisfatte del loro comportamento? Innanzitutto non bisognava nascondere i problemi, anzi ogni occasione era buona per ribadire che il problema esisteva. A tal scopo fu molto utile fare intervenire una terza parte, percepita come competente e disinteressata. In molti casi questa strategia comunicativa fu sufficiente a far sì che le persone capissero da sole. Per altri collaboratori invece comunicare a parole non fu sufficiente. In questi casi suggerii a Gianni di mettere il collaboratore in una situazione che gli rendesse chiara la sua inadeguatezza, ad esempio aumentando la sua responsabilità, o assegnandogli incarichi difficili, e così via. Gianni mi disse che di solito – come tutti del resto – faceva il contrario, ovvero diminuiva i compiti delle persone “inefficienti”: per lui fu abbastanza duro cambiare approccio. Una strategia simile fu quella volta ad aumentare il livello di aspirazione dei collaboratori, offrendo opportunità di sviluppo e di miglioramento. Anche in questo caso Gianni fu costretto a cambiare alcuni suoi approcci alla gestione del personale, ma alla fine ammise che fu più efficace lasciare che i collaboratori arrivassero da soli a decidere di volere cambiare che forzarli a cambiare.