Uno dei casi più famosi nella storia degli studi organizzativi è quello degli esperimenti realizzati dall’équipe di Elton Mayo a partire dal 1923 a Hawthorne Works, stabilimento della Western Electric presso Chicago. L’esperimento iniziale voleva misurare il calo di produttività dovuto al peggioramento del livello di illuminazione in fabbrica. Contrariamente a quanto ci si aspettava, la produttività non solo non diminuì, ma addirittura migliorò. Una leggenda (mai verificata) narra che le operaie, per cercare migliori condizioni di luce, si spostarono verso i finestroni diminuendo gli spazi fra loro ed aumentando quindi il livello di comunicazione reciproca e di interazione sociale.
La conclusione dell’équipe di Mayo fu un’altra: la produttività aumentò perché, sentendosi osservate, le lavoratrici si impegnarono di più per far bella figura di fronte ai ricercatori. Tale fenomeno da allora viene definito “effetto Hawthorne”, che consiste appunto nel fatto che l’atto stesso di osservare influenza il comportamento dei soggetti osservati. I dirigenti della Western Electric trassero da questa esperienza però una conclusione ulteriore: se si aumentano i livelli di interazione e comunicazione fra i lavoratori, aumentano anche i livelli di impegno e produttività.
Purtroppo (o per fortuna …) le cose non sono così semplici. Ulteriori esperimenti dimostrarono infatti che più che la considerazione da parte dell’azienda, gli individui sono interessati alla reputazione all’interno del gruppo di cui fanno parte. La logica del gruppo prevale su quella aziendale, e il gruppo può reagire anche in modo contrario agli obiettivi aziendali se questi vengono percepiti come contrari agli interessi del gruppo stesso. C’è sempre “lassù qualcuno che si occupa di te” (è la c.d. “Somebody Upstairs Cares syndrome”). Ma il gruppo può orientarsi in senso sia favorevole che sfavorevole rispetto agli obiettivi aziendali: dipende chi lo guarda, e come.