Le cooperative di consumo italiane sono molto diverse fra loro. Alcune sono rimaste sostanzialmente piccole, e continuano ad operare a livello locale. Altre invece sono diventate col tempo imprese molto grandi. Queste grandi cooperative hanno scelto di: a) operare all’interno di business ad elevata complessità; b) darsi un’ampia varietà di obiettivi (non solo di distribuzione, ma anche immobiliari, tecnologici, commerciali); c) operare su tutto il territorio nazionale; d) avere grandi basi sociali (definendo soglie di accesso molto basse e associando chiunque ne faccia domanda).
Queste scelte incidono necessariamente sui meccanismi di governo della cooperativa, che devono tener conto dei cambiamenti intercorsi rispetto alla situazione originaria. Non è possibile infatti pensare di gestire i rapporti fra Assemblea, Consiglio di Amministrazione, Presidenti e Manager con gli stessi meccanismi di votazione, selezione, rendicontazione e controllo di quando le cooperative avevano pochi punti vendita e di limitata estensione, operavano su un territorio ristretto, con gestioni semplici e basi sociali molto piccole.
Tali adeguamenti sono necessari per evitare alcune conseguenze potenzialmente drammatiche per il governo democratico della cooperativa, come ad esempio: a) un basso livello di coinvolgimento dei soci/proprietari; b) un enorme potere in mano a top manager e a dirigenti di professione di fatto inamovibili; c) l’assenza di informazione e trasparenza sui meccanismi di gestione interna ed esterna.
Le grandi cooperative di consumo devono quindi dotarsi di una governance fondata sull’equilibrio dei poteri e sulla trasparenza, con strutture di controllo rigorose ed indipendenti, meccanismi di meritocrazia e di ricambio, rigore ed efficienza nelle scelte gestionali, trasparenza delle relazioni con gli stakeholders (fornitori e partners commerciali in primo luogo).