Rispetto alle imprese di capitale, le imprese cooperative hanno logiche di sviluppo profondamente diverse: ad esempio si pongono sempre obiettivi di lungo periodo e con forte valenza sociale, all’interno di un sistema di imprese che condividono storia, valori, identità. A livello di gestione manageriale questo significa che per la cooperativa non conta tanto la singola eccellenza o il successo isolato, quanto la costanza della performance prodotta, e che tale performance sia realizzata dalle persone in modo a loro normalmente raggiungibile. Questo è il contesto entro cui deve muoversi il manager cooperativo.
Come deve organizzarsi una cooperativa in modo da avere un corretto assetto manageriale? Gli obiettivi da raggiungere sono due: 1) non far dipendere la gestione e lo sviluppo da un singolo manager e 2) avere regole di funzionamento non decise dai manager.
Il grado di raggiungimento del primo obiettivo emerge in modo chiaro quando un manager lascia la cooperativa: se questa continua ad operare bene quando il manager va via, allora abbiamo la prova che la cooperativa non è legata e condizionata al ruolo di una singola persona. Naturalmente – e non sto scherzando – sorge un problema quando si è in presenza di manager “inamovibili”.
Il secondo obiettivo emerge con chiarezza se appare chiaro a tutti che anche i manager devono attenersi a regole non sottoposte alla loro influenza, ma determinate dagli amministratori (i soci) e garantite da organi esterni indipendenti. È il principio del “rule of law” contrapposto al “rule of man”.