Se volete che le persone non facciano qualcosa, non dite loro che molti altri lo stanno facendo

“Una dinamica ragazza dai capelli scuri scende le scale di un condominio. Indossa una collanina d’argento e ha in mano un maglione; forse sta andando al lavoro o a un appuntamento con un’amica per un caffè. All’improvviso, un vicino apre la porta e le sussurra: «Ho dell’erba per te». «No!» Aggrotta la fronte e corre giù per le scale. Un ragazzino dal viso pulito è seduto in un parco. Ha una maglietta azzurra e sfoggia un taglio a scodella di quelli che qualche anno fa andavano di moda tra i giovani. Sembra completamente immerso in un videogioco. Una voce lo interrompe: «Cocaina?» «No, grazie», risponde. Un adolescente sta appoggiato a un muro. Mastica una gomma americana. «Ehi, fratello, vuoi qualche pasticca?» chiede la solita voce. «Non ci penso proprio!» esclama lui, lanciando uno sguardo truce. Basta un no è una delle più note campagne americane contro la droga di tutti i tempi. Ideata dalla first lady Nancy Reagan durante il mandato presidenziale del marito, l’iniziativa prevedeva la messa in onda di spot di servizio pubblico come parte di un programma nazionale mirato a dissuadere gli adolescenti dal consumo di droga, negli anni Ottanta e Novanta. L’idea era semplice. In un modo o nell’altro, i ragazzi prima o poi si sarebbero sentiti chiedere se volevano della droga da un amico, uno sconosciuto o non importa chi, e dovevano saper dire di no. Così, il governo investì milioni di dollari in questi spot, sperando che avrebbero aiutato gli adolescenti a reagire di fronte a situazioni simili e che, di conseguenza, il consumo di droga sarebbe diminuito”.

“Anche iniziative più recenti si sono ispirate alla stessa idea. Tra il 1998 e il 2004, il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato quasi un miliardo di dollari per una campagna nazionale contro il consumo giovanile di droga. L’obiettivo era insegnare ai ragazzi tra i dodici e i diciotto anni a rifiutare ogni offerta di sostanze stupefacenti. L’esperto di comunicazione Bob Hornik volle capire se questi spot fossero veramente efficaci, e per farlo raccolse dati sull’uso di droga tra migliaia di adolescenti nel periodo della loro messa in onda degli annunci. Verificò se avessero visto gli spot e se avessero fumato marijuana; poi cercò di capire se gli annunci di servizio pubblico avessero diminuito il consumo di quella sostanza. Non era così. In effetti, sembravano averlo aumentato. I ragazzi tra i dodici anni e mezzo e i diciotto che avevano visto gli spot erano più propensi a fumare marijuana. Perché? Perché gli annunci rendevano pubblico l’uso di droga. Pensate alla visibilità e alla riprova sociale. Prima di vedere gli spot, forse alcuni di quei ragazzi non avevano mai pensato di drogarsi; altri magari avevano accarezzato l’idea ma si erano trattenuti, temendo di fare qualcosa di sbagliato. Questo tipo di annunci contro l’uso di stupefacenti veicola spesso due messaggi allo stesso tempo: si dice che le droghe fanno male, ma anche che altre persone ne fanno uso. E, come abbiamo constatato nel corso di questo capitolo, più si vedono gli altri fare qualcosa, più chi li vede è portato a pensare che quell’azione sia giusta o normale e che anche lui dovrebbe cominciare a compierla”.

“Secondo Hornik, «la nostra principale ipotesi è che più i ragazzi vedevano questi spot, più erano portati a credere che molti altri coetanei fumassero marijuana. E più erano portati a crederlo, più pensavano di iniziare anche loro». Come capita anche con molte altre strategie efficaci ma non impiegate correttamente, accentuare la visibilità può avere conseguenze indesiderate. Se volete che le persone non facciano qualcosa, non dite loro che molti altri lo stanno facendo”.

(Tratto da: Contagioso, di Jonah Berger, ed. Sperling & Kupfer, 2014)


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