Un esempio storico di organizzazione democratica ed egualitaria è quella dei pirati. Il capitano di una nave pirata guida la nave durante gli arrembaggi, ma negli altri momenti governa sempre con il consenso della ciurma. Deve dimostrare la propria forza in battaglia, ma se si dimostra despota ed ingiusto viene punito con l’impiccagione. Anche il capitano infatti deve rispettare il codice di bordo. Quello redatto dal capitano Bartholomew Roberts, che comandava 508 uomini divisi in quattro navi, prevede che “ogni uomo ha il diritto di voto nelle questioni in discussione”. Come mai nelle navi pirata non si è assistito alla deriva di molti sistemi democratici contemporanei, in cui una minoranza arriva ad esercitare il potere e a godere di grandi privilegi, e la maggioranza si accontenta di piccoli vantaggi (magari mugugnando, ma senza ribellarsi)? Probabilmente perché un pirata è un malvivente, ma non è un servo. E mentre la regola della ricerca del consenso governa le dinamiche verticali fra ciurma e comandanti, i rapporti fra i pirati si fondano sui principi della lealtà e del rispetto delle norme condivise. Ogni pirata sa infatti che i suoi compagni saranno i primi a intervenire se qualcuno non rispetta le regole di bordo. Ed è per questo che, quando si tratta di scrivere le regole di una struttura democratica, è meglio che a farlo sia un’assemblea di delinquenti. (Vedi Marcus Rediker, Sulle tracce dei pirati, La storia affascinante della vita sui mari del ‘700, Piemme, 1996).