Il cliente migliore (ovvero i miei clienti)

Se un consulente fa bene il proprio lavoro, significa che ha trovato un cliente bravo almeno quanto (e probabilmente più) di lui. Non è possibile fare un buon lavoro di consulenza senza una stretta collaborazione e intesa fra cliente e consulente, sapendo oltretutto che quando parliamo di cliente dobbiamo considerare non solo chi commissiona la consulenza, ma anche tutti coloro che lavorano nell’organizzazione del cliente e con cui il consulente viene a contatto.

Cosa dobbiamo intendere per “cliente bravo”? Quali sono le sue caratteristiche, le sue esperienze, le sue attitudini? Per rispondere a queste domande non dobbiamo concentrarci su particolari tipi di ruoli, o competenze, o funzioni.  Il “cliente bravo” (che è quindi anche il cliente migliore di tutti) è quello che mette il consulente nelle condizioni ottimali per raggiungere gli obiettivi di sviluppo aziendale.

Questo significa evitare tre classici errori nei rapporti fra cliente e consulente, errori diversi ma egualmente letali per il raggiungimento dell’obiettivo: 1) Errore di superbia: quando il cliente pretende di guidare il consulente, indirizzarlo, dicendogli cosa e come deve operare. È la situazione in cui il cliente, convinto di essere in gamba, non riesce a concepire di trovarsi di fronte a qualcuno dotato di competenze diverse e complementari alle sue. 2) Errore di insicurezza: quando al contrario il cliente non ha fiducia nelle proprie competenze e chiede al consulente di sostituirlo in toto nella gestione di determinati problemi. 3) Errore di ipocrisia: quando il cliente sa bene quello che vuole e come lo vuole, ma non intende esporsi in prima persona, e cerca un consulente che faccia e dica le cose al posto suo, come un burattino.

Sono tre tipi di fenomeni molto diffusi, grazie anche al fatto che qualche consulente disposto ad assecondare tali errori prima o poi lo si trova sempre.

Il cliente ideale per fortuna esiste: ne parla ad esempio Peter Drucker in un articolo sulla Harvard Business Review del 1967, a proposito del suo primo grande incarico di consulenza. Nel 1944 Alfred P. Sloan, allora presidente e CEO della General Motors, lo incaricò di uno studio sulla struttura manageriale e sulle politiche dell’azienda. Lo chiamò nel suo ufficio all’inizio dell’incarico e gli disse: “Non le dirò cosa studiare, cosa scrivere o a quale conclusione arrivare. Quello è il suo lavoro. L’unica istruzione che vorrei darle è quella di annotarsi le soluzioni giuste che le vengono sott’occhio. Non si preoccupi della nostra reazione, non si preoccupi del fatto che le sue osservazioni ci piacciano o non ci piacciano e soprattutto non si preoccupi dei compromessi che potrebbero occorrere per rendere accettabili le sue conclusioni. In questa azienda non c’è un solo dirigente che non sappia realizzare qualunque tipo di compromesso, senza il minimo aiuto da parte sua. Ma non potrà accettare il compromesso giusto finché lei non gli dirà prima ciò che è giusto”.

Non esiste al mondo un consulente che, per quanto bravo, possa far bene il suo lavoro senza un cliente altrettanto bravo.


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