“Monsignore ha vasta parentela, ha mobilitato tutti i suoi parenti nella Dc e lui si è tirato in disparte, al di fuori di quel che gli compete per i decreti del Santo Offizio e per le lettere pastorali del vescovo, non mostra di essere in preda a quel ballo di san Vito della politica cui tanti preti si abbandonano; del resto la miglior politica che può fare a vantaggio della Dc è quella di non mostrarsi, ché farebbe deserta la piazza; e poi i parenti ci sanno fare, fanno un così compatto e attivo clan che nessuno riuscirebbe a scalfire.
Questa sorta di largo nepotismo alimenta avversione contro monsignore, ma la verità è che in Sicilia la politica sempre diventa affare di tribù, e il membro più autorevole o rappresentativo di solito si tira dietro tutta la tribù fino agli affini e ai famigli: e un partito politico diventa come una gabella di latifondo.
La Dc di Regalpetra è come quelle fotografie-ricordo in cui intorno al bisnonno o al parente d’America si attruppano in disegno genealogico tutti i parenti, fino all’ultimo nato con la tettina in bocca: monsignore al centro, e tre generazioni di parenti disposte intorno come un’ondata che sale.
Che alla Dc siano approdati i resti della Democrazia del Lavoro dell’Uomo Qualunque e persino del Partito d’Azione, certo con intenzioni non cordiali nei riguardi del gruppo familiare, non è valso a niente: la tribù riesce a fagocitare qualsiasi interna forza avversa. E un bell’esempio da libro di lettura, l’unione che fa la forza, il fascio di verghe che non si piega”.
(Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra).